
Una meta coma tante altre, una destinazione scoperta perché non sapevamo dove andare, un’alternativa. Una fuga al sole perché l’estate era un poco misera. Poi, una volta sul posto, ti accorgi che la terra che a dato i natali ad un certo Farrokh Bulsara ti avvolge nel suo splendore, ti incuriosisce il miscuglio di etnie e le varie attività creative. Lo stesso Freddy Mercury, ovvero F. Bulsara, ne era un ottimo esempio. Qui va di moda l’italiano, chi conversa con turisti si esprime in italiano utilizzando parole “magiche”, di attacca bottone sicuro e certo, perché alla raffica di parole: “Jambo, ciao amico, gome va? Tutto bene? Karibù, bela jornata amico, Hakuna matata, sdai bene?” Non ti resta che rivolgergli almeno uno sguardo e rispondere all’accattivante sorriso. Sono i beach boys, autentici venditori di tutto, del possibile e anche dell’impossibile; di fumo anche se affermi che non ne consumi. Potresti sempre cedergli pur di dribblarli.

Anche le escursioni-gite-visite che ti propongono sono in italiano, ecco spiegato il nome di mezzi galleggianti battezzati con nomi a noi noti. Gli italiani abboccano, comprano il possibile e anche l’impossibile, fumano o forse … iniziano, ma spendono, fanno felici i commercianti che ti inseguono per ettometri sulla spiaggia alta marea permettendo. Inglesi e tedeschi, olandesi e russi, non acquistano, per forza! Non hanno il beneficio delle parole “magiche”. A Nungwi l’Hotel Royal ha un ritmo da vacanza, a tua misura. Se vuoi vi sono delle attività che selezioni a piacimento altrimenti ti godi le 4 piscine, i bar, massaggi, sala pesistica, i ristoranti e le loro proposte. Il personale ti avvolge di sorrisi e di “Karibù sana”, i giardinieri salutano a ripetizione con “Jambo-Jambo”, i più disinibiti con “Mambo, Poa”.

I Masai garantiscono l’invalicabilità territoriale del Resort. Non sappiamo bene quale minaccioso nemico possa invaderci, ma fanno scenografia, simpatia e soprattutto ci incuriosiscono. Anche molti di loro hanno attività commerciali di artigianato, sono però confinati in viottoli nei quali ci devi accedere volontariamente e senza poter godere della spiaggia. Sono più discreti, alcuni sono Masai a tempo libero e beach boys di professione, altri l’inverso, altri ancora solo Masai di professione. Molti di loro hanno adottato nomi italiani come: Jacopo, Zacaria, Paulo, Fabio, o artistici come: Giannimorandi, Jacoposimpatico, Paolone nel rispetto della stazza fisica, altri: Rafael, Jpapa, Michael, risultano più….internazionali. Sognano tutti! A Zanzibar possono farsi qualche soldo in più di quanto si possa avere nel fare il Masai ovvero custodire mucche, mungere, produrre formaggio, difendere il villaggio dai leoni tutt’intorno al Kilimangiaro. A quasi 1000 km di distanza socializzano e fruiscono di qualche soldo in più, proventi dal turismo zanzibarino. Sognano di poter avere una moglie una volta guadagnato il necessario per chiedere la mano al padre, quest’ultimo in cambio avrà almeno 15 mucche che il pretendente procurerà. Questa è la prova finanziaria. Le prove fisiche dei veri Masai si vedono sul loro viso, indelebili nel tempo. Guance marchiate a fuoco, incisivi scalfiti ed estratti dopo esser stati colpiti da una pietra. Poi quella più prestante, del coraggio, della maturità: uccidere il leone con la propria lancia e il “rungo”. Nei loro villaggi servono beni come; scarpe, felpe, prodotti igiene del corpo, medicine. Il nostro Masai “adottato” ci dice che l’acqua dista 7 km da casa, non ha corrente in casa, ma sogna una camera da letto molto bella per la futura sposa. Un altro mi chiede da dove vengo, al mio braccialetto (prodotto da Masai) non scorge la bandiere italiana. Gli mostro quella svizzera ma non la conosce, lui si scusa spiegandomi che a scuola ha imparato “solo” a mungere. È comunque dotato di cellulare, suona in continuazione, risponde, quattro parole e poi chiude. Anche lui è un nato digitale sottoposto alla ridicola forma di stress tecnologico.

Il tempo qui ha una altro trascorrere, per noi è impossibile non condividerlo con i Masai ma è anche il tempo di ripartire per il Ticino e di lasciarci scappare qualche lacrimuccia di tristezza.